Il lavoro da casa indebolisce la classe lavoratrice?

Traduzione di un pezzo originariamente scritto da Wobblies del Galles e pubblicato sul sito New Syndicalist.

Questo pezzo è nato da conversazioni all’interno di IWW Cymru (Galles) e speriamo che dia inizio a una discussione più ampia nei movimenti sindacali. Breve nota: molte forme di lavoro si svolgono a casa, come il lavoro di cura non retribuito, ma, in questo pezzo, “lavoro da casa” è usato per riferirsi a persone dipendenti o “autonome” che svolgono lavoro digitale, oppure lavoro d’ufficio da casa.

Per molti anni ci è stato detto che avere orari flessibili e lavorare da casa sono richieste impossibili. Ora che le aziende sono state costrette ad adattarsi alla quarantena, questa percezione è stata distrutta. Questo presenta una serie di possibilità e opportunità per chi cerca maggiore autonomia nelle modalità e nel luogo di lavoro.

Tuttavia, i movimenti sindacali devono ancora studiare le enormi sfide che nascono con il lavoro da casa. Nonostante le prime apparenze, non è così liberatorio come potremmo pensare. Se non è organizzato da e per chi lavora, il lavoro da casa può peggiorare le nostre condizioni. Questo modo di lavorare pone una sfida ai nostri metodi tipici di mobilitazione nel posto di lavoro e potrebbe indebolire la classe lavoratrice in alcuni modi fondamentali.

Un giorno qualsiasi nella vita di un Analista Dati.

Per tre anni ho lavorato da casa come “Analista Dati da remoto” per una start-up che gestisce un’app online. Ho un contratto da “lavoratore autonomo”. Avere un portatile e poter scegliere quando lavorare durante il giorno era, secondo questa azienda, sufficiente per rendermi “lavoratore autonomo”. In questo modo, il mio datore di lavoro non deve pagarmi giorni festivi, di malattia o ferie: un accordo molto conveniente che le aziende digitali amano sfruttare più che possono.

Il mio lavoro prevede la ricerca di eventi adatti a famiglie da pubblicizzare sull’app, utilizzata da genitori e tutori per cercare cose da fare. L’azienda ospita la banca dati sui propri server e, usando un programma chiamato Toggl per timbrare entrate e uscite, può calcolare il tempo medio impiegato da ogni persona per aggiungere un evento. Ogni settimana l’azienda produce un rapporto che indica il tempo medio impiegato da ogni persona per completare le varie attività, e se il tempo impiegato è o no al di sotto del tempo prefissato. Lo scopo è calcolare se si sta lavorando a una velocità standard ideale stile Riccioli d’oro: non così lentamente da essere improduttivo, e non così veloce da correre e fare errori.

Dopo un anno in cui lavoravo lì, l’azienda ha deciso di cambiare tutto. Hanno creato un elenco di tutte le sessanta persone in lavoro da remoto e dei loro tempi medi settimanali, disposti in classifica da più veloce a più lento. L’elenco è anonimo in quanto puoi vedere solo in che posizione sei nella lista, e l’hanno sbattuto in cima alla prima pagina, in modo che te lo trovi sempre davanti ogni volta che accedi o ti sposti all’interno della banca dati. Sono inclusi anche grafici dei tuoi tempi medi che possono essere visualizzati settimanalmente, mensilmente, ecc. Chi si comporta bene e si trova spesso in cima alle classifiche riceve offerte per partecipare a progetti extra, garantendogli ore aggiuntive ogni settimana.

Non sorprende che a causa di questi cambiamenti abbia cominciato a preoccuparmi molto di dove mi trovassi in classifica. Sono diventato estremamente consapevole della precarietà del mio status di “lavoratore autonomo”, sapendo che avrebbero potuto licenziare istantaneamente e senza sforzo chi scendeva nella classifica. Ho cominciato a controllare spesso i dati che avrebbero tracciato la mia velocità per assicurarmi di essere sufficientemente “produttivo” da non essere licenziato. L’anonimia e la presentazione delle persone in una graduatoria hanno avuto l’effetto di disumanizzare completamente il processo lavorativo. In questo modo, i miei capi hanno fatto in modo che non vedessi più i numeri su questo elenco come colleghe/i; sono rivali senza volto e senza nome il cui successo e duro lavoro mi minacciano materialmente.

L’azienda gestisce un server Slack che, per chi non lo sapesse, è un software di messaggistica progettato apposta per aziende con lavoratori remoti. Lo usiamo per chiederci domande e darci consigli durante il giorno: praticamente tutta la comunicazione passa attraverso un canale principale. I capi usano Slack per pubblicare aggiornamenti iper-sentimentali e pieni di emoji sull’azienda, modifiche alla banca dati e “stelle d’oro” a chi riceve nomine per essere più d’aiuto. Non ci si aspetta da noi che usiamo Slack per scambiarci messaggi privati, poiché tutto viene fatto in questo canale principale. Gli unici messaggi che ho inviato e ricevuto erano per avvertirmi di un errore che avevo fatto o chiedermi se avevo notato un errore, in modo che potesse essere tutto risolto prima di diventare pubblico.

Per coincidenza, Slack ha recentemente modificato la propria politica sui messaggi diretti (DM) in modo che i datori di lavoro possano scaricarli, inclusi i messaggi eliminati, senza doverti informare. Esatto, il tuo datore di lavoro può leggere i tuoi messaggi privati su Slack.

Inoltre, non solo non è previsto lo scambio di messaggi informali o discussioni di questioni lavorative, ma siamo anche disincentivati a farlo. Infatti, ci misurano sempre col cronometro, e metterci a parlare ci potrebbe far rallentare e, quindi, scendere in classifica. Questo implica che, almeno per quanto ne so io, non si sono sviluppate relazioni strette tra di noi e non abbiamo avuto la possibilità di discutere tra di noi dei problemi palesi con il processo di lavoro.

Per loro stessa natura, la tecnologia e lo stile del lavoro da casa, soprattutto insieme al lavoro precario, inducono ansia e fanno diventare quest’ansia un’arma che mette le persone una contro l’altra, le mette in competizione, piuttosto che in collaborazione nella produzione di un bene. Questo ha implicazioni enormi sul potere di chi lavora.

Le sfide alla mobilitazione nel posto di lavoro.

Usando la mia esperienza come casistica di lavoro da casa, vale la pena esaminare le ragioni correlate per cui lavorare da casa può rendere molto difficile la mobilitazione nel posto di lavoro.

In primo luogo, come ho appena fatto notare, non esiste un modo ovvio per formare relazioni personali, che sono alla base di un qualsiasi sindacato forte sul posto di lavoro. La piattaforma che fornisce l’unica opportunità di comunicazione con colleghe/i è sotto il controllo dei datori di lavoro, e la precarietà del lavoro stesso fa sì che non ci sia tempo, incentivo o scusa per mandarsi messaggi privati e fare amicizia. Dato che questa azienda si è affidata sin dall’inizio a persone che lavoravano da remoto, nessuna di loro aveva relazioni pre-esistenti che potessero essere costruite, o modi per contattare colleghi/e al di fuori dei canali che potevano essere potenzialmente visualizzati dalla dirigenza.

Potrebbe essere diverso per chi ha cominciato a lavorare da casa solo di recente e, quindi, conosceva già colleghi/e, ma, vista l’alta probabilità che il lavoro da casa rimanga anche dopo la quarantena, il personale assunto di recente dovrà affrontare sfide simili. Come possiamo far unire nuove persone alla lotta, creare un gruppo di mobilitazione, se non abbiamo nemmeno un modo di fare due chiacchiere?

In secondo luogo, le aziende possono sfruttare le tecnologie di sorveglianza e i contratti precari per creare una divisione arbitraria del lavoro. Il nostro processo di lavoro è stato individualizzato in modo tale che ci fosse un disincentivo finanziario a costruire una rete di solidarietà con colleghi/e. Questo diventa un problema estremamente difficile da superare se, come ho appena detto, non si possono formare relazioni sul luogo di lavoro.

La classe capitalista ha riconosciuto una contraddizione nella produzione: concentrare le persone in un luogo di lavoro fisico può aumentare notevolmente la produzione, ma, questa stretta vicinanza consente alle persone di realizzare il loro potere collettivo e utilizzarlo. Per mitigare questo, la classe capitalista si è data da fare per dividere la classe lavoratrice in vari modi, sia nello stesso posto di lavoro, che diffondendo la produzione in tutto il mondo. La prevalenza del lavoro autonomo fittizio è l’ultimo tipo di divisione arbitraria dei lavoratori.

Nel mio caso di addetto all’inserimento di dati, si crea un effetto “panopticon” in cui noi, le stesse persone con contratti precari, ci controlliamo a vicenda, come risultato della sorveglianza passiva e della raccolta dati. Sebbene i capi ci inviassero messaggi motivazionali elogiandoci come “il team remoto”, i rapporti di produzione stessi ci hanno diviso; ognuno di noi gareggiava per avere ore aggiuntive, si sforzava di rimanere in cima alla classifica, si sentiva al sicuro quando colleghe/i stavano andando male.

In terzo luogo, a seguito di queste due sfide, lavorare da casa può cementare l’alienazione fondamentale che esiste nel sistema capitalista. La divisione in unità individuali separate ci ha fatto perdere di vista il modo in cui abbiamo collaborato per produrre il servizio app. Senza vicinanza fisica, la singola persona non è in grado di conoscere i diversi compiti che compongono la produzione del servizio, il che significa che siamo meno in grado di comprendere il processo di lavoro nel suo complesso.

Questo ha implicazioni per una strategia di mobilitazione: essere in grado di concepire l’intero processo produttivo consente di identificare punti strategici in cui un’attività dirompente potrebbe avere un impatto cumulativo, provocando una reazione a catena di problemi per la dirigenza. Quando siamo alienati/e, non siamo in grado di sfruttare al massimo il nostro potere collettivo. Inoltre, in un momento rivoluzionario, non essere in grado di superare l’alienazione significa che la classe lavoratrice rimarrebbe senza le conoscenze e le relazioni necessarie per riprendere controllo dei mezzi di produzione.

Questa discussione deve continuare.

Militanti nel posto di lavoro devono trovare una soluzione alla disconnessione e all’individualizzazione che derivano dal lavoro da casa. Dobbiamo trovare modi per parlare con colleghi/e individualmente, e poi collegarci e discutere in gruppo. L’infrastruttura tecnologica delle aziende, la sorveglianza, i contratti precari e i disincentivi a costruire relazioni nel posto di lavoro rendono questo compito molto difficile e, nel caso in cui non si possano superare, la mobilitazione nel posto di lavoro sarà impossibile.

Non ho ancora risposte adeguate su come fare tutto questo, lo scopriremo solo attraverso la lotta e la riflessione. Sebbene questo pezzo sia dedicato a una forma specifica di lavoro, non intendo presentare la crescente prevalenza del lavoro da casa come il problema principale per l’intera classe lavoratrice; infatti, la maggior parte di noi è stata costretta e sarà di nuovo costretta a tornare a lavorare in condizioni pericolose, mentre le persone disoccupate stanno subendo le conseguenze di un sistema di assistenza sociale tristemente inadeguato. Proprio come lo spettro dell’automazione è forse troppo pubblicizzato da alcuni accademici che scrivono libri su meme spaziali, non credo che lo spettro del lavoro da casa debba essere esagerato.

Eppure, è un fenomeno che sta crescendo a un ritmo allarmante, con pochissima considerazione da parte del movimento sindacale. In un’economia come la nostra, con un’alta percentuale di produzione situata all’interno dell’economia dei servizi, si espanderà ulteriormente. Visto il numero crescente di persone coinvolte in questo tipo di lavoro, ci troviamo di fronte a sfide preoccupanti che dobbiamo iniziare ad affrontare ora.

Note finali per militanti che lavorano da casa:

– Tutto ciò che invii a colleghe/i online può essere potenzialmente copiato e inviato al tuo capo.

Se conosci colleghi/e o hai lavorato con loro prima della quarantena, contattali/e e forma un’infrastruttura di comunicazione al di fuori del controllo dei capi, per esempio, crea un elenco di contatti telefonici e email, o un gruppo whatsapp per persone fidate.

– Se vieni a sapere di nuovo personale assunto che lavorerà da casa, prova a contattare queste persone e parlarci.

– Se hai iniziato un nuovo lavoro in cui lavori da casa, devi trovare un modo per parlare con colleghe/i. Se non conosci nessuna/o potrebbe essere difficile all’inizio. È più semplice se ci sono molte nuove persone, perché sarete sulla stessa barca.

– Cerca di scoprire se la tua azienda ha un elenco di indirizzi email e numeri di telefono dei dipendenti.

– La quarantena finirà, anche se probabilmente continueremo a lavorare da casa. Cerca di organizzare momenti di socialità per far incontrare le persone.

– In una situazione di sorveglianza intensiva, in cui la comunicazione tra colleghe/i è disincentivata, una campagna esterna al posto di lavoro potrebbe essere più appropriata per garantire la tua sicurezza.

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