Questo non è un paese per chi lavora

Siamo a metà 2021 e il bilancio è già gramo: più di 300 morti sul lavoro, quasi il 10% in più dell’anno scorso; più di 170000 mila denunce di infortunio; lo sblocco dei licenziamenti in arrivo; salari inadeguati, salario minimo non se ne parla proprio, le più alte percentuali di lavoro nero, caporalato e mobbing. L’Italia non è un paese per chi lavora.

Il 3 maggio a Prato muore Luana D’Orazio, giovane operaia di appena 22 anni: rimane impigliata nel rullo di un macchinario tessile manomesso dal padrone per recuperare tempo e aumentare la produttività dello stabilimento.

Il 23 maggio 14 persone perdono la vita sulla funivia del Mottarone a causa di un freno manomesso “per superare le difficoltà economiche ed evitare che si fermasse a lungo”.

L’11 giugno, a Lodi, 40 ex lavoratori licenziati da Tnt FedEx vengono aggrediti con bastoni, taser e sassi da una squadraccia di mercenari al soldo del padrone. La polizia rimane immobile a guardare, la stampa parla di uno “scontro fra lavoratori” e di “bodyguard” intervenuti per fermare i manifestanti, piuttosto che porre la domanda ovvia: come mai sono state licenziate 40 persone quando il lavoro ovviamente c’è, visto che ai padroni non va bene avere i mezzi fermi ai cancelli?

Il 18 giugno, l’omicidio di Adil Belakhdim, sindacalista Si-Cobas, durante uno sciopero fuori dallo stabilimento LIDL a Novara: viene travolto insieme ai suoi compagni da un camionista che ha forzato il picchetto. Lo sciopero di Novara era parte dell’iniziativa nazionale indetta nella logistica dalle maggiori le sigle del sindacalismo di base italiano, un momento importante di un percorso decennale di contrasto allo sfruttamento sistematico in questo settore. Adil Belakhim muore esattamente come nel 2016 era morto Abd El Salam, anche lui sindacalista Si-Cobas, investito da un Tir mentre partecipava a un picchetto.

Intanto si parla di ripresa, incentivi alle imprese: quelle stesse imprese in cui le persone muoiono perché ai padroni scoccia pagare per la manutenzione dei sistemi di sicurezza, quelle stesse imprese che assoldano squadracce di picchiatori per reprimere brutalmente scioperi e manifestazioni, quelle stesse imprese dai cui cancelli all’improvviso escono veicoli che travolgono e uccidono persone.

A chi ci considera carne da macello, noi dobbiamo rispondere con l’arma più potente: la solidarietà. La lotta. Insieme. Chi tocca uno, una di noi, tocca tutti e tutte noi.

IWW Italia è vicina alla famiglia di Adil Belakhdim, ai suoi compagni e compagne, a Si-Cobas e tutto il sindacalismo di base.

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